Ciò che conta è che non si veda.

“Basta non si veda”.

Questa è stata la frase che ha dominato la mia testa per anni. Forse perché a 17 anni non puoi accettare di prendere farmaci a vita, non puoi accettare di avere limiti, semplicemente non puoi. In realtà non è poi così male avere quel fisico sottile senza fare alcuno sforzo e nonostante i quintali di Nutella. Ciò che conta è che non si veda. (…) E si ricomincia, ci si rialza pieni di forza nuova. Non so esattamente dove si trova, credo sia semplicemente voglia di vivere, è una forza indirettamente proporzionale al dolore. Il Crohn ti cambia. [su_pullquote align=”left”]Strano trovare del buono in tutto questo dolore, vero?[/su_pullquote]

Nonostante il mio corpo fosse irriconoscibile da anni di cortisone ininterrotto, nonostante i peli mi coprissero il viso e la schiena, le gambe non reggessero più nemmeno le scale, il viso fosse ormai deforme, nonostante tutto questo, io vivevo sorridente la mia adolescenza, convinta che sarebbe bastato ignorare questa strana cosa che aveva deciso di vivere dentro di me.

Iniziai a lavorare. Ufficio attaccato al bagno, febbre, antibiotici, cortisone, fistole. Non è niente! Sorrido e mi trucco, basta non si veda. Mio papà muore e il Crohn non perdona nulla. Ancora sangue, muco, diarrea, febbre, antibiotici, cortisone, immunosoppressori, fistole. Infiniti ricoveri. E si ricomincia, ci si rialza pieni di forza nuova. Non so esattamente dove si trova, credo sia semplicemente voglia di vivere, è una forza indirettamente proporzionale al dolore. Il Crohn ti cambia. Strano trovare del buono in tutto questo dolore, vero? Il tempo passava e lui non si dimenticava di me.[su_pullquote align=”right”] I miei tre ricoveri all’anno cominciarono a pesare e i farmaci non facevano più effetto.[/su_pullquote]Pochissimi sapevano, il mio sorriso copriva ogni cosa e correvo in una vita apparentemente normale. Nel 2007 la colectomia totale. In un mese e quindici giorni ero di nuovo al lavoro.  Altri tre anni sempre uguali fino a dicembre 2010: ennesimo ricovero. Una fistola grossa come un melone, mi pulirono tutto per bene, avevo un cratere lì sotto, era decisamente impressionante. Era arrivata l’ora di guardarsi allo specchio. Da lì cominciò un doloroso percorso di accettazione di ciò che sono, di quanto fossero preziose le mie forze e quanto lo fossero altrettanto le mie debolezze.

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© Chiara DeMarchi 2016

Restai a casa per più di due anni per prendermi cura di me. Per la prima volta accettai il fatto di non avere la forza di recitare, poi finalmente salii sul treno della mia vita. La malattia stava per mettermi di nuovo alla prova, io invece stavo prendendo consapevolezza di noi due, io e il Crohn.

Era inutile fingere di non vederlo, aveva segnato tutta la mia vita, i miei rapporti, i miei sogni, persino i miei gusti.

Il teatro era il mio nuovo lavoro, la mia passione più grande. E’ stato l’ancora della mia salvezza, la forza per rialzarmi tutte le volte che arrancavo in ginocchio, e sarà ciò per cui lotterò sempre.  Forse mi stavo inconsciamente preparando.  Nessun farmaco aveva più effetto su di me, ero devastata dalla stanchezza. Le scariche mi avevano ustionato, non sapevo nemmeno più cosa volesse dire vivere senza un assorbente. Una lotta alla sopravvivenza. Dopo due mesi di agonia mi è stata confezionata una ileostomia temporanea, il 26 luglio 2016 per l’esattezza.

Il mio cammino è ancora lungo, ricordo giorni in cui la disperazione e il dolore annebbiavano la mente, giorni in cui avrei tanto voluto semplicemente non svegliarmi, alzare bandiera bianca. Eppure oggi sorrido, di un sorriso vero. Posso godere del lavoro e delle persone che sono la linfa della mia felicità. Dopo venti anni, io oggi VIVO!

Katia, Malattia di Crohn – “Women Fighters” 2017 Linea Edizioni, All rights reserved – © copyright Chiara DeMarchi 

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© Chiara DeMarchi 2016