Io nonostante tutto, non mollo!

Ho imparato.

Signorina, questa malattia se la porterà nella tomba.

Non starò qui a raccontarvi della mia rettocolite ulcerosa, dei miei sette interventi in sei anni, di quelli andati male e di quelli andati bene, delle mie due ileostomie o del confezionamento di una pouch-ileale, di quanto la malattia ti metta a dura prova, di quanto ti riesca a piegare a tal punto da cambiarti completamente e renderti insicura, del continuo e costante senso di inadeguatezza sempre e ovunque, dei sensi di colpa nei confronti di chi ti sta accanto a causa delle sue rinunce, o il sentirsi sempre in debito con l’azienda per cui lavoro a causa di assenze prolungate. No, non voglio parlarvi di questo. Voglio parlarvi di cosa ho imparato negli anni, e di quanto una buona assistenza psicologica sia utile per scoprire quanto un atteggiamento positivo possa impattare sugli effetti negativi della malattia.

invisible body disabilities
© Chiara DeMarchi 2016

Ho imparato che di questa malattia esistono due aspetti, uno oggettivo e uno soggettivo. E’ stato fondamentale riuscire a distaccarmi dall’idea di me che avevo per anni, di quella Anna ‘malata’, un’idea ormai fossilizzata, distorta e lontana dalla realtà. L’aspetto oggettivo è quello ‘fermo’ della malattia, non modificabile, ma in molti casi migliorabile: le visite, le analisi, le colonscopie, l’aspetto invalidante, le scariche, le corse al bagno, il dolore, la febbre, le assenze sul lavoro. L’aspetto soggettivo riguarda invece l’idea di come vediamo noi stessi e come ci vedono gli altri, le loro opinioni e quanto ci facciamo condizionare da esse, quanto rimaniamo ancorati all’idea di malato. Questo aspetto è modificabile e deve essere modificato; mi ha permesso di prendere consapevolezza della malattia, di accettarla e di viverla con maggiore distacco.

Ho imparato a vivere solo di sane aspettative, quelle che, se non dovessero concretizzarsi, non ti cade il mondo addosso. Ho imparato a riporre fiducia e speranza solo laddove risiede una buona probabilità di non rimanere delusi, per non mettere a serio rischio la salute mentale. Ho imparato che ci vogliono anni prima di capire cosa significhi convivere con una malattia infiammatoria cronica intestinale, con i suoi alti e bassi, perché ci sono e ci saranno sempre alti e bassi. Che fare quindi? Sorridere, ringraziare Dio dei momenti di benessere, non mollare mai ma andare avanti sempre, per noi e per le persone che ci amano e che ci sono accanto, spesso impotenti.

Concedetemi un piccolo spazio tra queste righe per ringraziare la persona che mi è accanto da diciannove anni, mio marito Stefano, che continua ancora oggi a sostenermi nei momenti difficili e a ridere con me di quelli felici.

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© Chiara DeMarchi 2016

Per finire, la cosa più importante tra tutte quelle che ho imparato è il parlare della malattia. Scegliete voi con chi, se in associazione AMICI Onlus, con il vostro medico di fiducia o con uno psicologo, ma parlatene, confrontatevi, chiedete, arrabbiatevi, ne abbiamo diritto! Non permettete alla malattia di chiudervi e costringervi a vivere in totale solitudine, come ho fatto io per anni. Altrimenti si corre il rischio di darsi da soli risposte, spesso errate, alle proprie domande e ai propri dubbi, e che quelle stesse risposte da convinzioni si trasformino in veri e propri macigni, difficili poi da spostare.

Forza e coraggio, sempre.

Anna, colite ulcerosa – “Women Fighters” 2017 Linea Edizioni, All rights reserved – © copyright Chiara DeMarchi

 

Rifiuto di pensare che una malattia cronica non sia all’altezza di tutti, che sia un limite, una sorta di barriera invisibile che frena i sentimenti, che li spaventa ed ostacola.
Perché una malattia cronica come la colite ulcerosa o la malattia di Crohn deve essere sinonimo di responsabilità e limitazioni in un rapporto di coppia? Perché non guardare oltre al corpo malato riscoprendo così la bellezza infinita racchiusa nell’anima?

Coltivare la perfezione o la ricerca costante di un amore perfetto, senza sacrifici o difficoltà, equivale a perdersi. L’amore che fonde due anime é paziente, tollerante e coscienzioso, apprezza, insegna e non pretende. L’amore nutre la vita nella malattia, non dà nulla per scontato, anzi, vive ogni attimo intensamente, che sia di luce o di buio ed ogni dettaglio merita rispetto e stupore. Le cicatrici, le ferite ancora aperte, gli ematomi, le smagliature, le rughe, i sacchetti attaccati alla pancia, i capelli che cadono, i chili che salgono e scendono, le terapie che debilitano. Mi piace pensare che siamo esseri umani uguali nelle loro diversità, con un elenco di sentimenti ed emozioni a seguito, venuti dalla stessa polvere di stelle fusa dall’alito divino e accomunati dallo stesso destino.

Il corpo in malattia si trasforma proprio come quando invecchia e così anche l’amore. Esso si modifica, cambia, non rimane sempre uguale, ma evolve, cresce, si fonde con l’anima della persona amata, diventa un tutt’uno tanto da non riuscire a farne a meno.

Chiara DeMarchi
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© Chiara DeMarchi 2016